Le libere donne di Magliano | M. Tobino

Hey readers,

oggi parliamo della mia seconda lettura del celebre psichiatra, poeta e scrittore Mario Tobino (qui trovate il mio articolo su “La ladra”).

“Le libere donne di Magliano” è una raccolta di vite, fatti e malattia. A pochi chilometri da Lucca il colle di Santa Maria delle Grazie e in cima il manicomio. Il paese più vicino è Magliano. Così, «venire da Magliano» per la gente del luogo significa portare il segno della pazzia, di una vita attraversata dal vento sublime e dannato della sofferenza mentale. In un reparto psichiatrico femminile, negli anni precedenti l’età degli psicofarmaci e della riforma Basaglia, un medico vive con donne aggressive, tristi, erotiche, disperate, orrende, miti, malate o semplicemente fuggite dal mondo. Questo romanzo è il poema della profondissima e unica atmosfera che pervade le stanze della follia: «il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli».

Questo libro non ha fatto al caso mio.

Riconosco quelli che sono gli aspetti innovazione riportati da Tobino quando ha fatto uscire questo testo nel ’53; in quel periodo non si sentiva parlare di matti e malattia mentale, gli ospedali psichiatrici erano visti come un luogo lontano in cui spedire le parti della società che non si volevano osservare. Da questo punto di vista ha osato e detto molto, per questo mi spiego il successo del libro. Ma se vogliamo parlare della lettura in termini “letterari” leggere questo libro è stata una tortura!

Sono molto interessata alle tematiche e per questo ho continuato a girare pagina, ma il modo in cui l’autore ha riportato i fatti è ben lontano da quello che definirei una narrazione: fatti e personaggi si intrecciano tra loro, con salti tra presente e passato. Leggere questo testo sembra proprio come mettere il naso tra gli appunti del dottore trovandoli sparsi e confusi su un tavolo. Sono scritti in maniera altalenante, in alcuni momenti sembra comprensivo e compassionevole, in altri guarda ai malati con un occhio quasi sprezzante (e questo mi ha un po’deluso).

Traendo delle conclusioni, credo che possano esserci testi che raccontano meglio quello che accadeva effettivamente nei manicomi prima della legge Basaglia, ma una parte di me vuole credere che questo punto di vista così intrinseco alla storia e così “semplice (che racconta tramite appunti e rimembranze)” possa in qualche modo riportarci indietro nel tempo al fianco di un medico del ventesimo secolo che si trovava alle prese con la vera pazzia, ovvero quella prima delle diagnosi accurate e dei farmaci!

Caterina

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